Sta ormai diventando una moda dilagante quella dei questionari di gradimento sui docenti, compilati dagli stessi alunni o dai loro genitori. Inevitabile, per chiunque tenti di sollevare qualche obiezione al riguardo, l’accusa di non essere al passo con i tempi, o di chiudersi a riccio in una pretesa di intangibilità che suonerebbe incomprensibile privilegio rispetto al diffondersi, anche nelle pubbliche amministrazioni, delle pratiche di customer satisfaction . Queste dovrebbero rappresentare, come è noto, non solo un punto di partenza per definire strategie di miglioramento della qualità dei pubblici servizi, ma anche occasione e strumento per riconsegnare all’utente il suo giusto ruolo di cittadino contribuente, in diritto di esigere un servizio all’altezza dei costi cui direttamente e personalmente partecipa.
È tuttavia sbagliato e pericoloso, in generale e specie nella scuola, trasformare la rilevazione di gradimento di un servizio in una valutazione sulle prestazioni professionali dei singoli. Una grave distorsione, ad alto rischio di inquinamento della relazione che costituisce il nucleo essenziale attorno a cui ruota l’agire di un’istituzione scolastica, e in modo particolare dei suoi docenti: la relazione educativa.
Una prima osservazione: ha senso innescare processi che possono incentivare nei docenti un’assurda tendenza alla captatio benevolentiae da parte dei propri alunni e delle loro famiglie? Subito dopo: quale uso si pensa di fare degli esiti di rilevazioni di questo genere? È solo una banale coincidenza quella che le vede promuovere in concomitanza con l’avvio di procedure premiali per docenti ritenuti meritevoli? Meritevoli, si badi bene, sulla base di criteri alla cui definizione concorrono – caso unico, discutibilissimo e di dubbia legittimità - anche rappresentanti dei genitori e degli alunni, inopinatamente chiamati a valutare la qualità professionale dei loro insegnanti.
E si potrebbe continuare. Ma è proprio sulla qualità, la forza e l’efficacia della relazione educativa che il voto di alunni e famiglie ai docenti può produrre il suo effetto più devastante. Quante volte, di fronte a episodi di ribellione o grave mancanza di rispetto, assistiamo alla denuncia di una complessiva caduta di considerazione verso la figura del docente e la sua funzione? Spesso lamentando il fatto che i genitori tendono sempre più spesso a trasformarsi – come si usa dire - nei sindacalisti dei propri figli.
Fuor di battuta, quello della qualità e della forza di una relazione educativa è tema fondamentale e decisivo per il successo di ogni strategia formativa. Non c’è scuola che possa reggere efficacemente il suo compito senza una simmetria di atteggiamenti tra sé e la comunità di cui è espressione. Questo è l’aspetto che caratterizza e distingue istruzione e formazione rispetto ad altri ambiti di pubblico servizio, fuori da affrettate, superficiali e improponibili omologazioni. Occorrerebbe tenerne conto anche nel considerare se e quanto avvalersi di strumenti che, presentati come fattore di trasparenza e incentivo a positive emulazioni, possono avere nel contesto di una comunità scolastica effetti perversi e addirittura disastrosi.
Del resto è un grave limite che attraversa l’intero disegno della “buona scuola” di Renzi quello di legare la spinta a una miglior qualità del servizio all’introduzione di un clima di accentuata concorrenzialità interna al sistema. Invece la scuola, per sua natura, ha bisogno di reggersi su fondamenta di segno diametralmente opposto: collegialità, cooperazione, condivisione degli impegni e delle responsabilità. Queste le leve su cui agire, non la malintesa “trasparenza”, ad alto tasso di demagogia, delle pagelle ai docenti, né la premialità da spot con cui si tenta forse di nascondere le vere questioni che sarebbe urgente e doveroso affrontare, a partire da quella non più eludibile di una generale rivalutazione del trattamento economico di chi insegna, tra i più bassi in Europa e nel mondo.
Maddalena Gissi, segretaria generale Cisl Scuola