2020-06-13 11:30:00
Intervista Maddalena Gissi

Fonte CISL Scuola

Il governo si è dimenticato della scuola. È questa l’amara constatazione di Maddalena Gissi, segretaria generale della Cisl scuola. Per la leader cislina il ministero dell’Istruzione è in fortissimo ritardo nel pianificare la riapertura in sicurezza delle scuole a settembre. Persiste il nodo dei precari, non sono state avviate opere di riqualificazione dell’edilizia scolastica e non c’è chiarezza sulle risorse a disposizione ("Il Diario del Lavoro", intervista a cura di Tommaso Nutarelli)

Gissi, lei parla di forti ritardi in vista di settembre. In cosa di preciso?
I ritardi riguardano il ritorno a scuola in sicurezza per il prossimo anno. Il mondo della scuola coinvolge circa 10 milioni di persone, tra studenti e personale, le famiglie e anche l’organizzazione delle nostre città e dei trasporti. Non si tratta semplicemente di riaprire un ufficio o una fabbrica. La scuola è una realtà trasversale al territorio. Il ministero doveva avviare una riflessione settimane prima, non a giugno.

Quali sono i principali nodi da sciogliere?
Ci sono due grandi temi da affrontare: quello dei precari e quello dell’edilizia scolastica. Non possiamo pensare di partire con il nuovo anno in presenza con un precariato così diffuso. La situazione non ce lo permette. L’altro nodo è quello dell’edilizia. Per garantire il distanziamento occorre un ripensamento degli spazi e interventi sull’edilizia scolastica. Ma per farli serve tempo. Anche se dovessimo semplificare al massimo tutta la burocrazia per avviare i cantieri, i giorni sono comunque contati. E soprattutto servono risorse.

Quante?
Gli enti locali hanno parlato di una cifra di 3 miliardi. Al momento ci sono circa 330 milioni per gli interventi non strutturali. Non c’è chiarezza da parte del governo sulle cifre che saranno a disposizione per la scuola, e non vorremmo che l’esecutivo pensasse che basta qualche mano di stucco per garantire la sicurezza. Sulla salute dei ragazzi e del personale non accettiamo nessuna deroga.

In che modo andrà ripensata la didattica e la gestione degli spazi nella nuova scuola?
Prima è venuto fuori il plexiglass, salvo essere sconfessato poco dopo dalla ministra Azzolina. Si è parlato poi di una possibile riduzione del tempo pieno, una didattica mista o a una turnazione dei ragazzi, alcuni in presenza e altri da remoto. Oppure un orario doppio, per far stare tutti in classe. Ma questo richiede spazi e maggior personale. Le soluzioni sono molte, alcune più percorribili di altre. Quello che manca è una strada precisa da seguire.

Come valuta la didattica a distanza?
La didattica a distanza è una forma emergenziale di modalità di insegnamento, che non può costituire la normalità. Molti studenti ne sono stati esclusi, per disparità sociali e infrastrutturali tra un territorio e l’altro. Inoltre deve essere normata, dal punto di vista contrattuale, garantendo il diritto alla disconnessione, così come si deve garantire un uso sicuro delle piattaforme.

Quali criticità ha fatto emergere la pandemia?
La scuola si deve riformare sul versante tecnologico, della didattica e dell’organizzazione. La pandemia questo ci ha detto. Così come ci ha ricordato la piaga del precariato diffuso, che non può essere ulteriormente procrastinata.

Crede che cambierà il modo in cui si guarda alla scuola?
Purtroppo no. Si chiede molto alla scuola, ma la scuola non riceve altrettanto, e anche in questa fase lo si è potuto osservare. Lo sciopero dell’8 giugno aveva come obiettivo quello di porre attenzione proprio su questo aspetto.

Come è stata l’interlocuzione con il governo?
L’interlocuzione con il primo governo Conte era partita in modo positivo, arrivando anche a un accordo importante il 24 aprile dello scorso anno. Con il Conte bis i rapporti si sono deteriorati. La ministra Azzolina ha scelto la strada della disintermediazione, accantonando le relazioni con il sindacato. Un’opzione adottata anche dallo stesso Conte. Questo governo si è dimenticato della scuola.

Cosa ne pensa del piano Colao?
Il piano Colao è un po’ una delusione. Ci sono degli spunti condivisibili, come una maggiore compenetrazione tra mondo della scuola e quello del lavoro. Tuttavia, l’approccio del documento guarda solo all’ultima parte del percorso formativo. È vero si parla anche degli asili nido, ma unicamente come strumento, utile e giusto, per permettere alle donne di conciliare vita privata e lavorativa. Non si tiene conto che è proprio negli asili nido e poi nelle scuole dell’infanzia che inizia e si consolida il percorso di crescita, che poi porterà quel bambino a diventare un cittadino. Il limite principale del documento è il suo approccio unilaterale al mondo dell’istruzione.

Tommaso Nutarelli

INTERVISTA GISSI

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