Non è la prima volta che la questione di un accorciamento dei percorsi di studio viene posta all’ordine del giorno: tralasciando la mancata riforma Berlinguer del 2000, finalizzata fra l’altro anche ad una conclusione delle superiori a 18 anni (ma a subire la decurtazione sarebbe stata allora la primaria), già nel 2013, con la ministra Maria Chiara Carrozza, partì una sperimentazione di percorso quadriennale per il II grado che la Cisl Scuola definì allora “poco meditata” e rischiosa, essendovi coinvolto un solo Istituto di Scuola Secondaria Superiore e risultando per quella ragione assai poco attendibile quanto a rappresentatività dell’intero sistema.
Oggi le premesse sono un po’ diverse, visto che il progetto investe un numero più elevato di scuole, ma restano in ogni caso molte altre perplessità che ci auguriamo possano essere tenute in debita considerazione in un supplemento di riflessione quanto mai opportuno e anche possibile, visto il lasso di tempo che ci separa dall’avvio della sperimentazione, previsto per il 2018/19.
Intervenire sulla struttura e la durata dei percorsi presuppone una rimodulazione dei curricoli che non si improvvisa e per la quale va garantita un’accurata e autorevole sede di valutazione. Non va poi dimenticato che l’intero sistema è stato oggetto di ripetuti interventi “innovativi” negli ultimi anni; vive quindi una fase di assestamento che dovrebbe anche essere di attento monitoraggio, prima di ipotizzare nuove architetture prima ancora che si siano consolidate quelle in atto.
C’è soprattutto una questione, quella dei tempi necessari rispetto ai traguardi di apprendimento, che non è mai stata di poco conto. È stata ed è oggetto di discussione, ad esempio, anche per quanto riguarda l’obbligo dell’alternanza scuola lavoro, con i problemi che comporta la sua attuazione a parità di orario scolastico e a invarianza di curricolo. Ecco perché è indispensabile fornire in partenza solide garanzie sul prevedibile livello di formazione in uscita degli alunni, chiamati a compiere il loro percorso di studi in quattro anni anziché in cinque: diversamente si avrebbe l’impressione che si stia sperimentando una sorta di quadratura del cerchio.
Ancora: se si immagina che una necessaria condizione di successo risieda in una nuova e più aggiornata didattica, collegata a una diversa e più flessibile organizzazione del calendario e dell'orario scolastico, si dovrebbe allora assumere questo come tema primario e prioritario per una sperimentazione assistita, possibilmente anche più allargata, preliminare a quella di un eventuale accorciamento dei percorsi, da affrontare con qualche certezza in più sulla sua reale fattibilità.
Per queste è per tante altre ragioni, ammesso e non concesso che sull’uscita dagli studi a 18 anni vi sia realmente una necessità di allineamento all’Europa, ci riesce piuttosto difficile, tra i tanti problemi irrisolti con cui la scuola italiana si trova ogni giorno a fare i conti, considerare l’accorciamento dei percorsi di studio una priorità. E non essendo chiaro se è come sarà assicurata la loro qualità, si fatica anche a comprendere quale reale beneficio ne possano trarre i nostri studenti.
Roma, 8 agosto 2017
Maddalena Gissi, segretaria generale Cisl Scuola