C’è qualcosa che non quadra nei numeri sulla mobilità dei docenti italiani, a partire dai quali in questi giorni si snoda su importanti organi di informazione il racconto di una scuola allucinante, dove un docente su tre avrebbe cambiato sede di servizio, grazie anche a regole stabilite nei contratti che tutelerebbero gli interessi del personale a scapito di quelli dei ragazzi.
Cerchiamo allora di fornire qualche dettaglio in più, per avere un quadro più attendibile della situazione e, come ci sembra giusto, anche una più corretta attribuzione delle responsabilità per quanto accade.
In premessa, riteniamo indispensabile escludere dal computo il numero dei posti coperti da supplenze. Non solo perché è davvero difficile stabilire se e quanta continuità si sia realizzata (e si possa realizzare) su quei posti, la cui modalità di copertura non può fornire a tal fine alcuna garanzia, ma anche perché il conferimento delle supplenze non è mai stato disciplinato da contratti, ma da atti amministrativi di natura unilaterale (regolamento per le supplenze). Scontato dire che se si procedesse, come da anni i sindacati chiedono, a stabilizzare una mole così considerevole di posti (ben oltre 100.000), rendendo di conseguenza stabile anche il troppo lavoro precario cui si ricorre ogni anno per far funzionare la scuola, si creerebbe una condizione decisamente più favorevole per una continuità oggi minata, per quella quota di posti, alla radice. Non certo per scelte e men che meno colpe del sindacato.
Tolte dal conteggio le supplenze, resta il numero dei docenti che hanno ottenuto un trasferimento nel 2016/17, pari a 157.901. Numero piuttosto elevato (ancorché molto lontano dagli sbandierati 250.000), ma su cui va fatta un’ulteriore precisazione di non poco conto: di quei 157.000 movimenti, infatti, ben 85.000 rappresentano un’operazione dovuta e inevitabile, ossia l’attribuzione della sede di titolarità ai docenti assunti nel corso dell’anno scolastico precedente, i quali per legge sono tenuti a presentare una domanda che si chiama “di trasferimento”, ma in realtà serve non a cambiare sede, ma a ottenerne una.
Restano quindi in totale poco più di 70.000 i trasferimenti “veri”, quelli cioè di chi si trasferisce da una sede a un’altra perché ha chiesto e ottenuto di farlo. Ma anche questo numero andrebbe depurato: anzitutto dai movimenti cosiddetti “d’ufficio”, dovuti cioè alla necessità di trasferire docenti che hanno perso il posto, e poi anche da quelli di chi – al contrario – riesce a tornare nella scuola da cui era stato allontanato in precedenza perché soprannumerario. In questo secondo caso, consentendo magari di recuperare quella continuità didattica che si era interrotta non certo per volontà del docente. Non disponiamo purtroppo di questo dato, che in un recente passato aveva raggiunto consistenza notevole a causa dei pesanti tagli di organico.
All’interno dei numeri sopra descritti, si collocano quelli riguardanti i movimenti su posti di sostegno, che sono in tutto poco meno di 30.000 (18.427 internamente alle singole province, 11.540 tra province diverse). Se ne ricava che i trasferimenti “a domanda” di docenti titolari su cattedra, posto classe o sezione sono circa 40.000 (ma probabilmente di meno, se si considerano i movimenti “subìti” dai perdenti posto).
Questi i numeri veri dei trasferimenti, cui si possono aggiungere i circa 27.000 insegnanti che hanno ottenuto assegnazione provvisoria (di cui 14.000 su sostegno e 13.000 su cattedra, classe o sezione), ricordando però che si tratta di movimenti legati a specifiche e limitate motivazioni di carattere personale o familiare.
Alla luce di queste precisazioni, i racconti che hanno riempito in questi giorni pagine e pagine di giornali possono forse assumere una luce un po’ diversa. Noi consideriamo comunque un bene che la scuola occupi il centro della scena mediatica e ci dà molto più fastidio quando scende sui suoi problemi e sulle sue esigenze il velo dell'oblio o della disattenzione.
Ma l’obiettivo sia sempre, davvero, quello di sollecitare l’impegno di tutti perché la scuola e chi ci lavora siano messi in condizione, almeno, di far fronte all’ordinario quotidiano impegno (non sempre è condizione garantita) e se possibile di poterlo svolgere con più efficacia. Se invece si finisce per accreditare l’immagine di un corpo docente intento solo alla cura del proprio interesse o addirittura dedito al “turismo” a scapito degli alunni (come indecentemente qualcuno è arrivato a dire), allora non si rende un buon servizio né alla scuola, né a una corretta informazione.
Maddalena Gissi, segretaria generale Cisl Scuola
Nel file allegato una tabella riassuntiva dei movimenti