“L’invecchiamento degli insegnanti interessa più della metà dei sistemi educativi. Alla luce della pandemia da Covid-19, l’età avanzata degli insegnanti aggiunge un ulteriore elemento di vulnerabilità ai sistemi educativi nel loro insieme, sia per la maggiore fragilità degli stessi, sia per la diffusa difficoltà tra gli insegnanti più anziani di gestire la didattica a distanza attraverso le nuove tecnologie. Inoltre, in alcuni Paesi, tra cui l’Italia, più della metà dei docenti andrà in pensione nei prossimi 15 anni e solo il 6,4% di insegnanti ha meno di 35 anni. Solo la Grecia e il Portogallo fanno peggio, con il 4,6% e 3,4% rispettivamente”.Così si legge nell’ultimo rapporto Eurydice sugli insegnanti in Europa. Una situazione veramente critica che non trova soluzione a nessuna latitudine. A Bergamo, un terzo degli insegnanti ha più di 54 anni (3880), mentre solo il 3 % è sotto i 35.
La situazione diventa “socialmente” esplosiva, però, se si guarda il dato del precariato. Nella scuola bergamasca, un quarto degli insegnanti ha un contratto a tempo determinato (3600 nell’anno scolastico in corso). E in questa condizione si trovano rappresentanti di quasi tutte le fasce d’età, con maggioranza, questa volta, giovane. Gli under 35, infatti, rappresentano oltre la metà dei supplenti orobici.
“Nel nostro Paese, però, oltre che diffusa, quella di precario è anche una condizione prolungata – dice Paola Manzullo, segretaria generale di Cisl Scuola Bergamo -. Basti pensare che nella classe d’età successiva, 35-49 anni, ha un contratto a tempo indeterminato quasi un docente su tre. È assolutamente necessario rilanciare il modello proposto dalla Cisl Scuola, che rivisitando il sistema del doppio canale affianchi ai concorsi ordinari una procedura destinata a
valorizzare l’esperienza di lavoro, rafforzandola con opportuni interventi di formazione in servizio. Occorre un grande investimento nella stabilizzazione del precariato, sia docente che ATA, per dare al lavoro una stabilità che è condizione
necessaria perché le scuole possano programmare e gestire in modo ottimale le attività. C’è da mettere mano ad investimenti veri, per risolvere sedimentate criticità di sistema che la crisi ha notevolmente peggiorato. L’Italia resta tra i Paesi che investono meno in istruzione”